Marzia Messina
Architettura
Marzia Messina è un architetto che vive e lavora principalmente a Palermo, costruisce - su misura - ogni luogo abitativo, come fosse un abito da indossare. Nel 2005 fonda, a Palermo, il suo studio d’architettura MAME Architetti che si occupa dell’attenta progettazione di residenze, ville e locali commerciali, gestendo anche tutto l'iter burocratico. Nel 2002 lavora a Londra per Claudio Silvestrin Architects, dove si occupa della progettazione degli Armani Stores in Italia e all’estero. Nello stesso anno collabora a Verona con lo studio di Aurelio Clementi sullo store per Louis Vuitton, Tokyo, Japan. In seguito è a Vicenza presso lo studioTraverso-Vighy, occupandosi di progetti per interni e allestimenti fieristici. Nel corso 2016-17 ha collaborato come docente esterno alla SOU, la Scuola di Architettura per bambini di Farm Cultural Park a Favara (Ag). Il suo lavoro privilegia la tradizione costruttiva, con una ricerca volta all’uso sapiente dei materiali e all’innovazione tecnologica nel campo della sostenibilità ambientale. “In fase creativa, non esiste una regola. L'inizio dei lavori può variare, l'armonia dell'insieme, invece, non può che chiamarsi “fine lavori". Ci sono architetti che progettano spazi pubblici, ci sono quelli che lo fanno per privati e poi ci sono coloro che, uno spazio privato, vorrebbero fosse vissuto come un luogo di condivisione. Obiettivo, quest’ultimo, che tento di raggiungere in ogni mio lavoro.”
Raccontaci del tuo percorso professionale.
Perché hai scelto una professione STEM?
Il tuo interesse per STEM è stato incoraggiato?

Il mio interesse per l’architettura credo (mi piace pensarla così) sia iniziato sin da quando ero bambina. Infatti, da piccola immaginavo spazi, luoghi di condivisione, abitazioni. Questi ambienti li rappresentavo graficamente attraverso modelli. Ne ero fortemente attratta. Ai miei genitori, che in questo mi hanno sempre sostenuto, chiedevo spesso matite, fogli, colori. Un secondo elemento d’interesse credo sia genetico – anche questo mi piace pensarlo così. Mio padre avrebbe voluto per primo intraprendere tale percorso. Condividevamo lo stesso sguardo sul mondo, la stessa visione sulle cose e se dovessi pensare a qualcuno che mi ha più di tutti incoraggiata di certo penserei a lui. La mia passione per le forme e per gli ambienti mi portava ad osservare e ricordare le case di amici, parenti. Ero curiosa di vedere ogni singolo spazio e di come esso fosse vissuto e di comprendere come l’uso potesse cambiare o restare immutato nel tempo, anche a distanza di diversi anni. Questa tensione all’osservazione e alla comprensione del rapporto tra la persona e l’ambiente è ancora oggi forte in me.
Un terzo elemento di interesse riguarda la professione dei miei nonni materni. Essi erano sarti di mestiere e per passione. Ricordo che ogni abito veniva disegnato da loro e cucito su misura per il cliente. Dal loro modo di lavorare ho imparato come si possano trasferire delle idee su carta, così da prendere vita attraverso il progetto, adattando i tagli alle forme e le materie agli usi. Un metodo di lavoro che governa lo spazio su cui intervenire per soddisfare i bisogni delle persone.
Lo spazio che progetto non può essere indossato alla stessa maniera da chiunque, è personale: ciascuno ha il suo. Le linee dei miei progetti perimetrano i bisogni di ciascuno. Sono come i fili di cotone dei miei nonni: l’eredità che mi è stata donata e da allora segnano la mia via. Li ho solo trasformati in linee, l’approccio per me è lo stesso.

Com’è stata la tua esperienza universitaria? Hai qualche esperienza memorabile da condividere?

Il mio percorso universitario, in particolare il primo anno accademico, è stato condizionato da un evento storico segnato dall’occupazione universitaria. Uno di quegli eventi nel quale o sei dentro o sei fuori, io fui in bilico.
Mi chiedevo: avevo fatto la scelta giusta? Era davvero ciò che desideravo?
Ero ancora immatura e questo non aiutava ad avere un’idea chiara, ma un pensiero mi orientava: volevo essere libera! Libera di scegliere, libera di viaggiare per conoscere, libera di creare. Creare è un desiderio che ho da sempre, da quando ho memoria. L’essere libera mi ha fatto capire che Architettare era la cosa più adatta ai miei sogni.
Un’esperienza che vorrei condividere riguarda un momento di revisione dei progetti degli studenti di “Composizione architettonica 2”. Era il secondo anno universitario, e il Prof. Architetto Mario Giorgianni, docente titolare della materia, come di consueto passava in rassegna i lavori da lui affidati durante il corso. Tra i tanti, prese il mio – si trattava di un “plastico del progetto” – lo sollevò e cacciò un urlo: “di chi è questo?” Disse. La sua voce ferma risuonò nell’aula generando in tutti noi studenti una sensazione di smarrimento. Da lontano scorsi che si trattava del mio progetto. In quel preciso momento avrei preferito essere altrove. Restai muta e per la paura pensai: fuggo adesso o mai più. Ciò non accadde. Per senso di responsabilità, ma con appena un filo di voce dissi: è mio.
(O sei dentro o sei fuori, ecco che ritorna).
A quel punto il Professore esclamò con voce netta:
“Venga qui, si avvicini, mostri il suo lavoro ai colleghi. Lei è l’unica che ha capito cosa volevo da voi.”
Non ho mai creduto fossi davvero l’unica ad aver fatto un buon lavoro, in molti godevano della sua stima ma forse solo in quel momento era accaduto qualcosa, a cui solo oggi do un nome: empatia. Lui fu, nei termini professionali, il committente giusto. Mi aveva scelta, in quel preciso momento, tra tanti; a me piace vederla così. L’energia, l’incoraggiamento era ciò che mi serviva in quel preciso momento. Mi piace ricordarlo come il mio mentore.
Avevo deciso dunque: ero dentro!
Se ho deciso di condividere questo episodio è perché spero possa essere una testimonianza utile sia per chi si trova oggi dalla parte dell’allievo come me allora sia per chi ha il difficile compito di lasciare il segno, il professore. Il ruolo di chi ha il compito di formare un soggetto è di enorme responsabilità, tale da essere determinante per la carriera di molti allievi. Riconoscere i talenti, le doti, qualunque esse siano ritengo sia cruciale per chi ha il dovere di trasferire l’amore per la conoscenza. Similmente, dovrebbe saper anche consigliare di cambiare percorso, incoraggiare a trovare un’altra strada semmai l’allievo si fosse perso. Da soli non si va da nessuna parte, ognuno di noi se potesse aprire un cassetto della propria memoria ricorderà un preciso momento in cui ha avuto chiaro quale sarebbe voluta essere la propria strada. Qualcuno si è perso, qualcun altro ha chiesto alla persona sbagliata, qualcun altro ha deciso di non farlo e aveva davanti la persona giusta che avrebbe potuto indirizzarlo bene, ma si è voltato dall’altra parte. È la vita ed in essa la scuola e l’università hanno un ruolo di primo piano.

Dove lavori?
Cosa fai durante una tipica giornata di lavoro? Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Lavoro a Palermo dal 2005, anno in cui ho fondato lo Studio MAME architetti. Durante il giorno i compiti di un architetto variano da caso in caso, il bello e brutto della libera professione. Ogni progetto cambia così come i fruitori. In studio si svolge la fase progettuale, che prevede i progetti di massima che poi via via si trasformano in esecutivi. Essenziale è discutere e condividere idee e soluzioni insieme ai collaboratori oltre che alle professionalità coinvolte dal progetto.
Presso il mio studio, da circa due anni, collabora ai mei lavori l’Architetto Marta Centineo. Il suo contributo attiene all’esecuzione di elaborati grafici, render, computo metrico e le pratiche necessarie all’elaborazione finale di ogni lavoro.
A seconda dei progetti, mi avvalgo di consulenze di ingegneri e di altri validi professionisti. Ad esempio, la designer Simona Valguarnera, il cui contributo di idee innovative è una risorsa preziosa per lo studio MAME.
Poi esiste il momento del cantiere, la direzione dei lavori, luogo altrettanto familiare come le mura del proprio studio. Progettiamo tutto su misura e dunque occorre la collaborazione con gli artigiani chiamati in causa come: ebanisti, fabbri, serramentisti, marmisti e non ultimi i fornitori delle materie prime. A volte i clienti specie alle prime, sono al nostro fianco, li aiutiamo a comporre l’abito, sceglierne i tessuti, è un lavoro che richiede cura, tempo e dedizione. Ci sono i clienti che possono venire in studio dopo le 19 o che possono trovare tempo libero quando quello dovrebbe essere il tuo, altri di sabato, altri non hanno i tuoi stessi orari. Definirsi “Libero professionista” non sempre coincide con l’essere liberi del proprio tempo. Questo è il rischio che si corre quando si sceglie il lavoro che piace e che rifaresti ogni volta che pensi di mollare. Quello che a volte non ti fa prendere sonno perché stai cercando la soluzione giusta.

Quali sono i tuoi progetti e le tue aspirazioni per il futuro?

Un architetto non crea le sue opere per farle proprie ma per donarle. Aspiro a lasciare traccia di ciò che realizzo. Aspiro ad avere sempre voglia di ricominciare e soprattutto di sviluppare le mie conoscenze e ad avere sempre i giusti stimoli per farlo. Noi abbiamo una grande responsabilità verso chi decide di affidarci la progettazione dello spazio in cui si svolgerà la vita.
Tale responsabilità innesca un processo di scambio che è occasione di crescita creativa ed emotiva.
Vorrei poter progettare luoghi per la condivisione, confrontarmi con esigenze non solo abitative.
Alcuni architetti progettano spazi pubblici, altri quelli privati e poi ci sono quelli che uno spazio privato vorrebbero fosse vissuto come un luogo di condivisione. Obiettivo, quest’ultimo, che tento di raggiungere in ogni mio lavoro.

Cosa ti piace fare al di fuori del lavoro? Quali sono le tue passioni e i tuoi hobby?

Amo conoscere, viaggiare per vedere, per sentire, assaporare, fotografare dettagli, fermare momenti, ricordare.

Mi piace tutto ciò che è verde, a partire da tutte le sue gradazioni cromatiche. Dal cibo al giardinaggio. Amo vestire di verde, occuparmi delle mie piante, donarle, inserirle in ogni mio progetto. Mi appassionano le storie, cerco di farmele raccontare da chi incuriosisce la mia attenzione, mi piace raccontarle attraverso i progetti. La mia passione è camminare, potrei perdermi, camminare è l’unico momento che tengo per me, dove mi annullo per poi scoprirmi più carica. Infine, non ultimo, amo il suono, la musica, compreso quello del silenzio: una pausa lunga.

Mi piace osservare a ogni mio percorso quali sono i limiti dello spazio, se sono dettati da noi o è la luce a farlo. Scopro ogni volta che essa altera, inganna, non serve che giunga dall’esterno e se lo fa accade con forza, per farci scoprire la bellezza delle cose anche le più piccole. Non è un caso, infatti, che l’energia sprigionata da una massa molto piccola può essere enorme poiché dipende dalla velocità della luce. 
Mi piace pensare che tutto ciò avviene con grande forza e con indeterminatezza. La stessa che avviene quando viene tirato un pallone all’interno di un ambiente chiuso. Dopo i primi rimbalzi non possiamo sapere dove si fermerà, ed è li che prendiamo coscienza del fatto che anche uno spazio apparentemente chiuso non ha limiti predeterminati, ma è la nostra limitata capacità di immaginare che ci induce a pensare il contrario.

CHE CONSIGLIO DARESTI AD ALTRE RAGAZZE E DONNE CHE INTENDONO INTRAPRENDERE UNA CARRIERA STEM?

Non consigli ma parole sincere. Ci sono mestieri, specie quelli che hanno a che fare con la creatività il cui fine ultimo è creare qualcosa che possa educare e migliorare la vita delle persone.
La motivazione non è sostenuta dalla re-tri-bu-zio-ne, quella dovrebbe essere un riconoscimento al valore di quello che facciamo.
Il mio pensiero è diretto anche a coloro che non hanno idea di cosa voglia dire tutto questo.
Tanta stima invece a chi per ragioni personali o perché nato in un Paese in cui l’istruzione non è un diritto garantito ad ogni cittadino non ha avuto occasioni e deve – ogni giorno – fare altro per vivere.
Se l’intenzione è dunque quella di seguire tale carriera e allora un solo consiglio: non metteteci troppo tempo per decidere se stare dentro o fuori. Qualunque sia il percorso, spero possiate avere la fortuna di riconoscere il vostro maestro, che vi lasci il segno e che agisca come una guida etica e professionale.